Firenze, culla del Rinascimento, dal 25 marzo ha una
nuova sede d’eccellenza per l’arte moderna e contemporanea: palazzo Bartolini
Salimbeni.
Il palazzo, attentamente restaurato, accoglie una
selezione tra le opere che sono state raccolte da Roberto Casamonti nella sua
lunga attività di gallerista e amante dell’arte, le più significative le ha
destinate a questo spazio creando la “COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI”.
Collezionista e gallerista ha saputo scegliere, in
quarant'anni di appassionate ricerche, dipinti e sculture creando un corpus eccezionale
che rappresenta l’evoluzione storico artistica dell’intero XX secolo.
Casamonti sostiene di avere avuto la fortuna di acquisire opere, oggi
diventate inaccessibili come per esempio quelle di Fontana, quando costavano solo
qualche centinaia di migliaia di Lire ma in realtà questa fortuna è frutto di
una passione, di una cultura e di una lungimiranza che caratterizza l’uomo.
La Collezione si sviluppa in due grandi nuclei il primo composto da
circa un centinaio di opere di artisti tra cui Boldini, Casorati, Picasso, de
Chirico, Fontana e molti altri e comprende un’epoca che va dagli esordi del
Novecento fino ai primi anni Sessanta, il secondo nucleo dagli anni Sessanta
fino ai giorni nostri.
La Collezione sarà proposta appunto per sezioni, il
primo nucleo dal 25 marzo 2018 fino alla primavera del 2019 e a seguire il
secondo.
Di questa collezione fanno parte pezzi che Casamonti
non intende alienare infatti contrariamente alle sue Gallerie d’arte le opere esposte
a Palazzo Bartolini Salimbeni non saranno più in vendita e come sottolinea lui
stesso “si prova gioia quando si comprano i quadri, non quando si vendono”.


Patrizia
Casini
PALAZZO
BARTOLINI SALIMBENI Il capolavoro di Baccio d'AgnoIo
A ormai cinquecento anni dalla sua costruzione, il
rinascimentale Palazzo Bartolini Salimbeni, collocato nel cuore della città in
uno straordinario contesto urbanistico, può essere sicuramente considerato uno
dei più celebrati edifici privati di Firenze. La nascita della dimora,
tuttavia, fu contraddistinta da un'aura di polemica. Alludiamo alle critiche e al
sarcasmo tipicamente fiorentini che, come ci ricordano vari storici a partire
da Giorgio Vasari, investirono il palazzo e soprattutto l'architetto Baccio
d'Agnolo (1462-1543), subito dopo la costruzione. Motivo per le stilettate dei
detrattori di cinque secoli fa, presto messi a tacere da un crescente
apprezzamento, fu in quel caso la novità del progetto, che riformava
radicalmente la tradizione architettonica locale. L'artefice arrivò a difendere
la propria opera apponendo la celebre iscrizione che corre in magnifici
caratteri lapidari latini sopra il portone d'ingresso: "CARPÉRE PROMPTIVS
QVAM IMITARl" (è più facile criticare che imitare).
Ad accendere la polemica in quei lontani ultimi anni
della Repubblica fiorentina fu, come indicato, l'originalità di una facciata
che introduceva in città innovativi spunti architettonici impiegati in quegli
anni a Roma in particolare da Raffaello, ad esempio nel magnifico fronte del
perduto Palazzo Branconio. Le soluzioni che Baccio andrà ad adottare, responsabili
dell'aulico classicismo dell'insieme, si possono sommariamente riassumere nell'introduzione
del portale architravato, delle finestre timpanate, di nicchie destinate ad accogliere
statue, di cornici marcapiano decorate dall’impresa di famiglia, e del robusto
cornicione aggettante. Una ricchezza esornativa che
abbandonava lo schema seguito dai più importanti palazzi costruiti in
precedenza -severi edifici-fortezza con largo uso di bugnato come le residenze
dei Medici e degli Strozzi- accogliendo motivi, pensarono i detrattori, più
consoni ad un edificio di culto che ad una dimora privata. Ancora qualche anno
e, in età ducale, questo fasto privato ispirato alla classicità non avrebbe più
stupito nessuno. Baccio d'Agnolo, già artefice di vari e importanti interventi
in città, sia come intagliatore e scultore che come architetto, ricevette la
commissione da Giovanni Bartolini Salimbeni (1472-1544), priore e provveditore
della zecca. Per quest'ultimo lo stesso aveva qualche tempo prima edificato il
Casino di Gualfonda, splendida villa urbana a ridosso della cerchia muraria
cittadina. Per far posto al palazzo, realizzato in appena tre anni, sparirono
otto botteghe, due case e un'osteria, la Locanda del Cammello, preesistenze che
condizioneranno, come positivo stimolo, il progetto.
A segnalare al passante la proprietà dell'edificio,
oltre al leone posto ai lati della facciata, arme dei Bartolini Salimbeni,
campeggiava l'impresa gentilizia con i celebri tre ovari di papavero attorniati
da un nastro e racchiusi da un anello, accompagnata nei bracci orizzontali
della finestra crociata - reminiscenza quest'ultima del Quattrocento romano - dal
motto inciso "per non dormire". L’iscrizione, allusiva alle proprietà
soporifere della pianta, si ripete in altri luoghi del palazzo, come nei
graffiti di Andrea di Cosimo Feltrini (1477-1548) che adornano l'elegante corte
interna, caratterizzata su due lati - un terzo è tamponato - da un arioso
loggiato, e si ritrovava un tempo anche ripetuta negli arredi, come nella
magnifica ghirlanda di Luca della Robbia il Giovane attualmente al Bargello.
Questo splendido manufatto, incentrato sull'impresa di famiglia, si trovava in
origine nel sotto della loggetta prospiciente la corte interna che corre su un
lato del primo piano.
Gli ampi spazi all’interno, come l'imponente salone al
primo piano, presentano pregevoli arredi come il monumentale camino o il sotto
tetto ligneo a cassettoni di Giuliano di Baccio d'Agnolo. Ma l'opera d'arte più
bella è forse quella che si ammira dai tre affacci sulla splendida piazza dove
sorge il palazzo. Piazza Santa Trinita, con l'elegante facciata buontalentiana
della chiesa che le dà il nome, il severo trecentesco Palazzo Spini poi Feroni,
la rinascimentale residenza dei Buondelmonti con la magnifica altana. A marcare
il
centro dello
slargo, si erge la Colonna della Giustizia, regalo di Pio IV al duca Cosimo l, reperto
monumentale proveniente dalle Terme romane di Caracalla, giunto a Firenze nel 1563
attraverso mille peripezie, coronato alcuni anni dopo dalla statua della
Giustizia in porfido dei Del Tadda. ll monolito, ammirabile dal palazzo in uno
scorcio indimenticabile, segnava una delle tappe del percorso trionfale che,
iniziando da Porta Romana, penetrava all’interno della città. L’itinerario
toccava piazza San Felice, con l'omonima colonna, via Maggio, per poi giungere
alla nostra piazza attraversando l'Arno al Ponte Santa Trinita, capolavoro
dell'Ammannati impreziosito dalle marmoree Allegorie delle Stagioni. Rimasto adibito
ad abitazione della famiglia che lo fece costruire fino agli inizi
dell'Ottocento, l'edificio divenne poi un celebre albergo, l'Hotel du Nord,
frequentato dai più facoltosi visitatori della città, cosi come l'Hotel de
I'Europe, ospitato nel vicino Palazzo Spini Feroni. La presenza del Gabinetto
Viesseux, prediletto ritrovo di artisti e intellettuali in Palazzo Buondelmonti,
rendeva quest'area forse il luogo più internazionale della città. Restaurato
nella seconda metà del Novecento, Palazzo Bartolini Salimbeni accoglie oggi, al
primo piano, uno spazio museale adibito ad eventi culturali. Oltre ad una rara
occasione di incontro con l'arte moderna, una possibilità di visitare uno
spazio di grande fascino, finalmente offerto alla città.
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