lunedì 22 ottobre 2018

MIROGRAFIA

Segni misteriosi, quasi geroglifici indecifrabili, che Raymond Quenau definì in maniera più che calzante “Miroglifici.
Si esprime con questo personalissimo linguaggio l’artisticcatalano Mirò (1893-196 ) non ponendosi fin dall'inizio, giovanissimo, con la sua ricerca artistica in condizioni imitative ma piuttosto interpretative del veroLe opere grafiche che esaltano la potenza espressiva di decisi segni impenetrabili, nati da un gesto sicuro, quasi istintivo, si possono ammirare a Firenze, alla Fornaciai Art Gallery  in Borgo San Jacopo 53r, dal 19 ottobre all’11 dicembre 2018 nella mostra MIROGRAFIA, a cura di Stefano Masi.

Risultano esposte ventidue opere grafiche, fra le più rappresentative dell’opera di Mirò (1961-1976)provenienti da una collezione privata e, in buona parte presentate al pubblico per la prima volta. Mirò si è dedicato alla grafica “dalla fine degli anni Trenta, quando già aveva maturato appieno la propria inconfondibile cifra stilistica, trovando nella litografia e nell'incisione un mezzo perfetto per dare vita ai suoi mondi fantastici, permeati di poetico lirismo”.
Introdotto alle tecniche dell’incisione dal pittore cubista di origine polacca Louis Marcoussis negli anni Trenta, Mirò si impegnò per tutta la vita nella ricerca dei mezzi più adatti a far risaltare le sue “invenzioni”, esito di un lucido abbandono alla propria ispirazione, con la scelta delle carte più adatte e raffinate e con l’applicazione delle più svariate tecniche di stampa senza perdere occasione per accrescere le sue  conoscenze. 
Il 1967 segnò una svolta nella sua produzione grafica, quando fu introdotto dall'amico Robert Dutrou alla tecnica del carborundum che, messa a punto dal pittore e incisore franco-americano Henri Bernard Goetz, prevede l’aggiunta del carbonato di silicio, detto appunto carborundum, alla lastra di incisione al fine di creare una superficie ruvida e granulosa (in mostra L’Astre du labyrinthe, uno dei primissimi esempi dell’uso di questa tecnica). Combinando il carborundum con altri metodi calcografici, appresi nel corso della propria carriera artistica, fra cui in particolare la più tradizionale acquatinta, Miró forgiò “immagini capaci di rivaleggiare con ogni tipo di pittura”. 
Graziella Guidotti Patrizia Casini

sabato 20 ottobre 2018

LUCIA MEONI UNA GRANDE STUDIOSA CHE TUTTO IL MONDO AMMIRA


È la grande saga dell’arazzeria medicea, messa in scena da una grande studiosa che tutto il mondo ammira” Così Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, a proposito di Lucia Meoni in occasione della pubblicazione del volume “Il catalogo degli arazzi della collezione medicea al tempo del granduca Ferdinando II de’ Medici”. La studiosa ha passato più di trent'anni nello studio dell’arazzeria fiorentina e degli arazzi della collezione medicea. Una collezione ricca di numerosi pezzi, quasi mille, che provengono dalle ‘botteghe’ locali, manufatti per la corte e per la clientela privata, ma anche da acquisizioni attraverso eredità, matrimoni, doni e acquisti.

Il primo volume, pubblicato nel 1998, è dedicato alla produzione della manifattura fiorentina nel periodo che va da Cosimo I a Cosimo II (1545-1601), il secondo, pubblicato nel 2007, riguarda le opere tessute durante la reggenza delle granduchesse Cristina di Lorena e Maria Maddalena D’Austria.

I saggi presentati nel III volume, il più vasto fin’ora del catalogo, raccolgono in modo rigorosamente documentato ogni informazione riguardante l’attività delle manifatture di arazzi operative in città al tempo del Granduca Ferdinando II de’ Medici: da quelle di San Marco e degli Uffizi a quella dei fiamminghi Pietro e Bernardino van Assel negli anni in cui fu diretta dal francese Pietro Févère e in seguito da Giovanni Pollastri (1630-1672).

“Non ci si può non stupire – scrive Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, nel suo testo nel volume appena pubblicato del Catalogo - davanti a un’impresa di così ampio respiro. Un monumento per chiunque – conservatori, restauratori, studiosi – si dedichi alla valorizzazione delle opere destinandole ad esposizioni. Uno strumento imprescindibile – attraverso le descrizioni riportate nei documenti – per riconoscere, in collezioni pubbliche o private o nel mercato dell’arte, arazzi ritenuti dispersi, o destinati alla clientela della manifattura, oppure oggetto di donativi diplomatici. Un libro meraviglioso anche per il pubblico più vasto che potrà imparare a riconoscere e ad amare in queste pagine il fasto di storie disegnate da grandi artisti, e poi tessute sapientemente, impreziosite di fili d’oro e d’argento, talvolta perdute e ritrovate: è la grande saga dell’arazzeria medicea, messa in scena da una grande studiosa che tutto il mondo ammira”.

Ci piace chiudere questo scritto con la stessa frase con la quale è stato incominciato: vuole essere un riconoscimento alla intelligente tenacia dell’autrice Lucia Meoni e un augurio perché i volumi IV e V possano essere pubblicati quanto prima per mettere a disposizione di tutti conoscenze maturate in decenni di studio e impegnativa, faticosa ricerca.
Patrizia Casini, Graziella Guidotti

martedì 16 ottobre 2018

SAURO CAVALLINI LUCE E OMBRA


“I gelsi qui da noi hanno rami tramati di verde” queste parole di una antica lirica giapponese mi vengono in mente tutte le volte che vedo, o meglio che ammiro, le sculture in spazi pubblici, in mezzo al verde di Sauro Cavallini. Però le stesse parole mi sono venute in mente anche vedendo la mostra antologica che a poco più di due anni dalla sua scomparsa si tiene in un spazio chiuso a Firenze.

L’associazione che la mia mente fa da sempre tra le forme scultoree di Sauro e i rami dei gelsi tramati di verde in un primo tempo mi sembrava bislacca, assurda, invece riflettendo ho capito che le due immagini hanno una cosa in comune: ambedue nascono da una irrefrenabile forza creatrice, la forza prorompente della natura e quella altrettanto prorompente della mente e del cuore dell’artista. Anche in un ambiente chiuso come quello di una sala espositiva le opere di Sauro sprigionano energia, come se volessero espandersi nello spazio fino ad invaderlo tutto. Non solo le sculture, anche i disegni posseggono nel tratto come nei colori una forza, un’energia e una vitalità che li porta ad estendersi oltre il limite del foglio o della cornice.
La mostra dal titolo Sauro Cavallini-luce e ombra,nella Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno, propone “l’intera parabola artistica di Cavallini: dalle prime creazioni di grafica degli anni ’60 alle grandi sculture in ferro e bronzo, fino alle tempere dell’ultimo, prolifico periodo”.
Nello spazio esterno all’Accademia delle Arti del Disegno, sotto il porticato tra le volte che si affacciano su Piazza San Marco, sono invece disposte tre sculture monumentali in bronzo, i due “Titani” e il “Ginnasta”, oltre ad un allestimento con i versi che il Maestro pubblicò nel suo libro di poesia Cantici del Mare e della Vita, edito da Polistampa nel 1998.
A Firenze la conoscenza dell’opera di Cavallini può continuare oltre la mostra perché in spazi pubblici sono visibili, alcune opere significative: Il Monumento alla Pace nel parco dell’ex Villa Vittoria oggi Palazzo dei Congressi, la Crocifissione nel cimitero di San Miniato al Monte, la Maternità in Piazza Ferrucci: tutte opere che, nonostante il peso del bronzo, posseggono una forte vitalità e dinamicamente si espandono nell’ambiente naturale oltre la loro forma.
La mostra è visitabile dal 5 al 30 ottobre 2018 nella grande Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno, in via Ricasoli 68, Firenze.
Graziella Guidotti