sabato 31 marzo 2018

VENTAGLI COLLEZIONE D'ARTISTA


Si inaugura a Cecina il prossimo 31 marzo la mostra VENTAGLI, CREAZIONI D’ARTISTA.
Una selezione di novanta pezzi provenienti dalla collezione di Luisa Moradei, studiosa e collezionista fiorentina, saranno esposti negli spazi della Fondazione Culturale Hermann Geiger in piazza Guerrazzi 32.

Patrizia Borgi, Terra e vento, 2011
In questa esposizione il ventaglio risulta liberato dalla sua funzionalità. Gli artisti, dai grandi nomi a quelli emergenti, hanno reinterpretato ognuno con il proprio linguaggio l’oggetto che nel tempo ha assunto vari significati espressivi, attribuendogli una funzione meramente artistica.
In origine strumento di uso pratico quotidiano si è trasformato successivamente, in particolare alla fine del Settecento, fino ad assumere, in certi casi, connotazioni artistiche.
Per tutto il ‘700 e l’800 è diventato un accessorio fondamentale nel guardaroba femminile e comunque utilizzato anche dal mondo maschile come si vede nel film il Gattopardo di Luchino Visconti dove un uomo ha in mano un ventaglio nero.
Patrizia Casini, Voilà le voile 2017
I pittori impressionisti, influenzati dall’arte giapponese, dilagante alla fine dell’800, realizzano piccoli dipinti sui ventagli da donare al gentil sesso.
Durante la Belle Epoque diventa testimone di dediche su cui i poeti scrivono poesie sempre destinate alle loro dame un esempio quello di Mallarmé con la poesia Autre éventail de Mademoiselle Mallarmé.
Questa tradizione del regalo del ventaglio ha suggestionato Luisa Moradei dandole l’idea di collaborare prima con poeti e poi con artisti che le hanno donato i ventagli reinterpretandone la funzione fino ad andare ad utilizzare materiali che ne rendono impossibile l’utilizzo originario.
Simon Benetton, Senza Titolo, 2011
Simon Benetton con la sua scultura in ferro, Elio Marchegiani con le sue armoniose grammature, Emilio Isgrò con le tipiche cancellature, Graziella Guidotti e Patrizia Casini con inusuali intrecci tessili ricchi di colore e chiaroscuro.
Negli occhi di Luisa Moradei si vede l’amore e la passione che ha messo nel realizzare questa raccolta, passione nata da bambina da un regalo della nonna ed evolutasi in una collezione particolare, creativa e fantasiosa dove il filo conduttore resta la reinterpretazione del ventaglio, ma lo spazio della fantasia è smisurato.
Cassio Manismi
Graziella Guidotti, 2011
VENTAGLI CREAZIONI D’ARTISTA
31 marzo - 13 maggio 2018
Fondazione Culturale Hermann Geiger
Piazza Guerrazzi 32 Cecina – Livorno

LA FONDAZIONE
La Fondazione Culturale Hermann Geiger si è costituita il 19 febbraio 2009.
Il nome della Fondazione rende omaggio al farmacista e omeopata svizzero Hermann Geiger, cui si deve
Un’importante attività imprenditoriale in campo farmaceutico, estesa nel corso di quasi tutto il Novecento a un ambito di diffusione internazionale. Gli eredi, da tempo impegnati in iniziative legate alla filantropia e all’elevazione della persona umana, hanno deciso di destinare parte del proprio patrimonio allo sviluppo di progetti coerenti con le attività statutarie, che riflettono gli indirizzi di intervento e i valori etici cui la Fondazione stessa è ispirata.
La Fondazione ha Io scopo principale di diffondere e valorizzare i contatti e gli scambi socioculturali in tutti i campi delle attività umane.
Elio Marchegiani, Inservibile ventaglio, 2017
Indica come principio ispiratore per le proprie attività la cultura della vita e della pace, la promozione e il miglioramento dei rapporti tra gli esseri umani e le nazioni, e in generale il progresso etico-morale dell’umane.
Le aree di intervento per lo sviluppo di attività, progetti e iniziative sono:
- promozione sociale
- attività culturali
- valorizzazione del territorio (beni culturali e risorse ambientali)
- didattica e formazione
Sebbene il raggio di azione abbia il proprio punto di origine nella sede di Cecina, in Toscana, l’ambito territoriale delle attività della Fondazione Geiger non ha aprioristicamente confini regionali né nazionali. Lo sguardo di interesse si estende ad azioni, interventi, sinergie e collaborazioni che possano coinvolgere interlocutori di livello in qualunque parte del mondo, una realtà globale oggi fortemente interconnessa dagli odierni mezzi di comunicazione.

mercoledì 28 marzo 2018

NASCE A FIRENZE LA COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI


Firenze, culla del Rinascimento, dal 25 marzo ha una nuova sede d’eccellenza per l’arte moderna e contemporanea: palazzo Bartolini Salimbeni.

Il palazzo, attentamente restaurato, accoglie una selezione tra le opere che sono state raccolte da Roberto Casamonti nella sua lunga attività di gallerista e amante dell’arte, le più significative le ha destinate a questo spazio creando la “COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI”.
Collezionista e gallerista ha saputo scegliere, in quarant'anni di appassionate ricerche, dipinti e sculture creando un corpus eccezionale che rappresenta l’evoluzione storico artistica dell’intero XX secolo.

Casamonti sostiene di avere avuto la fortuna di acquisire opere, oggi diventate inaccessibili come per esempio quelle di Fontana, quando costavano solo qualche centinaia di migliaia di Lire ma in realtà questa fortuna è frutto di una passione, di una cultura e di una lungimiranza che caratterizza l’uomo.

La Collezione si sviluppa  in due grandi nuclei il primo composto da circa un centinaio di opere di artisti tra cui Boldini, Casorati, Picasso, de Chirico, Fontana e molti altri e comprende un’epoca che va dagli esordi del Novecento fino ai primi anni Sessanta, il secondo nucleo dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri.
La Collezione sarà proposta appunto per sezioni, il primo nucleo dal 25 marzo 2018 fino alla primavera del 2019 e a seguire il secondo.
Di questa collezione fanno parte pezzi che Casamonti non intende alienare infatti contrariamente alle sue Gallerie d’arte le opere esposte a Palazzo Bartolini Salimbeni non saranno più in vendita e come sottolinea lui stesso “si prova gioia quando si comprano i quadri, non quando si vendono”.


L’Associazione per l’Arte e la Cultura, denominata “Collezione Roberto Casamonti” si propone l’obiettivo di organizzare mostre ed eventi multidisciplinari finalizzati a valorizzare il dialogo tra le arti con la sola motivazione di animare il dibattito culturale che interessa l’arte moderna e contemporanea.

“La nascita dell’Associazione – evidenzia Roberto Casamonti –sancisce il punto di arrivo di una lunga storia che attraversa e caratterizza la mia famiglia, raccontandosi oggi per mezzo del linguaggio vivo dell’arte. Ho pensato di voler condividere con la città di Firenze, alla quale sono da sempre affettivamente legato, la mia collezione per poter fare in modo che i valori di cui l’arte è portatrice possano essere condizioni non esclusive ma pubblicamente condivise. Sono fortemente convinto del potenziale educativo dell’arte, in grado di strutturare ed educare il pensiero, l’animo e la consistenza del nostro vivere. Perché anch'io sono convinto che la bellezza sia in grado di salvare il mondo, come affermava Dostoevskij”.
Patrizia Casini

PALAZZO BARTOLINI SALIMBENI Il capolavoro di Baccio d'AgnoIo

A ormai cinquecento anni dalla sua costruzione, il rinascimentale Palazzo Bartolini Salimbeni, collocato nel cuore della città in uno straordinario contesto urbanistico, può essere sicuramente considerato uno dei più celebrati edifici privati di Firenze. La nascita della dimora, tuttavia, fu contraddistinta da un'aura di polemica. Alludiamo alle critiche e al sarcasmo tipicamente fiorentini che, come ci ricordano vari storici a partire da Giorgio Vasari, investirono il palazzo e soprattutto l'architetto Baccio d'Agnolo (1462-1543), subito dopo la costruzione. Motivo per le stilettate dei detrattori di cinque secoli fa, presto messi a tacere da un crescente apprezzamento, fu in quel caso la novità del progetto, che riformava radicalmente la tradizione architettonica locale. L'artefice arrivò a difendere la propria opera apponendo la celebre iscrizione che corre in magnifici caratteri lapidari latini sopra il portone d'ingresso: "CARPÉRE PROMPTIVS QVAM IMITARl" (è più facile criticare che imitare).
Ad accendere la polemica in quei lontani ultimi anni della Repubblica fiorentina fu, come indicato, l'originalità di una facciata che introduceva in città innovativi spunti architettonici impiegati in quegli anni a Roma in particolare da Raffaello, ad esempio nel magnifico fronte del perduto Palazzo Branconio. Le soluzioni che Baccio andrà ad adottare, responsabili dell'aulico classicismo dell'insieme, si possono sommariamente riassumere nell'introduzione del portale architravato, delle finestre timpanate, di nicchie destinate ad accogliere statue, di cornici marcapiano decorate dall’impresa di famiglia, e del robusto
cornicione aggettante. Una ricchezza esornativa che abbandonava lo schema seguito dai più importanti palazzi costruiti in precedenza -severi edifici-fortezza con largo uso di bugnato come le residenze dei Medici e degli Strozzi- accogliendo motivi, pensarono i detrattori, più consoni ad un edificio di culto che ad una dimora privata. Ancora qualche anno e, in età ducale, questo fasto privato ispirato alla classicità non avrebbe più stupito nessuno. Baccio d'Agnolo, già artefice di vari e importanti interventi in città, sia come intagliatore e scultore che come architetto, ricevette la commissione da Giovanni Bartolini Salimbeni (1472-1544), priore e provveditore della zecca. Per quest'ultimo lo stesso aveva qualche tempo prima edificato il Casino di Gualfonda, splendida villa urbana a ridosso della cerchia muraria cittadina. Per far posto al palazzo, realizzato in appena tre anni, sparirono otto botteghe, due case e un'osteria, la Locanda del Cammello, preesistenze che condizioneranno, come positivo stimolo, il progetto.
A segnalare al passante la proprietà dell'edificio, oltre al leone posto ai lati della facciata, arme dei Bartolini Salimbeni, campeggiava l'impresa gentilizia con i celebri tre ovari di papavero attorniati da un nastro e racchiusi da un anello, accompagnata nei bracci orizzontali della finestra crociata - reminiscenza quest'ultima del Quattrocento romano - dal motto inciso "per non dormire". L’iscrizione, allusiva alle proprietà soporifere della pianta, si ripete in altri luoghi del palazzo, come nei graffiti di Andrea di Cosimo Feltrini (1477-1548) che adornano l'elegante corte interna, caratterizzata su due lati - un terzo è tamponato - da un arioso loggiato, e si ritrovava un tempo anche ripetuta negli arredi, come nella magnifica ghirlanda di Luca della Robbia il Giovane attualmente al Bargello. Questo splendido manufatto, incentrato sull'impresa di famiglia, si trovava in origine nel sotto della loggetta prospiciente la corte interna che corre su un lato del primo piano.
Gli ampi spazi all’interno, come l'imponente salone al primo piano, presentano pregevoli arredi come il monumentale camino o il sotto tetto ligneo a cassettoni di Giuliano di Baccio d'Agnolo. Ma l'opera d'arte più bella è forse quella che si ammira dai tre affacci sulla splendida piazza dove sorge il palazzo. Piazza Santa Trinita, con l'elegante facciata buontalentiana della chiesa che le dà il nome, il severo trecentesco Palazzo Spini poi Feroni, la rinascimentale residenza dei Buondelmonti con la magnifica altana. A marcare il
centro dello slargo, si erge la Colonna della Giustizia, regalo di Pio IV al duca Cosimo l, reperto monumentale proveniente dalle Terme romane di Caracalla, giunto a Firenze nel 1563 attraverso mille peripezie, coronato alcuni anni dopo dalla statua della Giustizia in porfido dei Del Tadda. ll monolito, ammirabile dal palazzo in uno scorcio indimenticabile, segnava una delle tappe del percorso trionfale che, iniziando da Porta Romana, penetrava all’interno della città. L’itinerario toccava piazza San Felice, con l'omonima colonna, via Maggio, per poi giungere alla nostra piazza attraversando l'Arno al Ponte Santa Trinita, capolavoro dell'Ammannati impreziosito dalle marmoree Allegorie delle Stagioni. Rimasto adibito ad abitazione della famiglia che lo fece costruire fino agli inizi dell'Ottocento, l'edificio divenne poi un celebre albergo, l'Hotel du Nord, frequentato dai più facoltosi visitatori della città, cosi come l'Hotel de I'Europe, ospitato nel vicino Palazzo Spini Feroni. La presenza del Gabinetto Viesseux, prediletto ritrovo di artisti e intellettuali in Palazzo Buondelmonti, rendeva quest'area forse il luogo più internazionale della città. Restaurato nella seconda metà del Novecento, Palazzo Bartolini Salimbeni accoglie oggi, al primo piano, uno spazio museale adibito ad eventi culturali. Oltre ad una rara occasione di incontro con l'arte moderna, una possibilità di visitare uno spazio di grande fascino, finalmente offerto alla città.


PIERO DELLA FRANCESCA. LA SEDUZIONE DELLA PROSPETTIVA

Il 25 marzo presso il Museo Civico di Sansepolcro, in concomitanza con la presentazione dei restauri della Resurrezione di Piero della Francesca, apre al pubblico la mostra PIERO DELLA FRANCESCA. LA SEDUZIONE DELLA PROSPETTIVA.
Il progetto espositivo, che si articola intorno al De prospectiva pingendi, trattato concepito da Piero della Francesca intorno al 1475, ha anche l’obiettivo di illustrare, attraverso riproduzioni di disegni, modelli prospettici, strumenti scientifici, plaquette e video, le ricerche matematiche applicate alla pittura di Piero e la conseguente eredità lasciata ad artisti come Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer, Daniele Barbaro e ai teorici della prospettiva almeno fino alla metà del Cinquecento.

La mostra rivela al pubblico le due anime di Piero della Francesca: raffinato pittore e grande matematico. Oltre ad essere Maestro d’abaco, geometra euclideo, studioso di Archimede, Piero è stato anche un innovatore nel campo della pittura poiché per lui, quest’ultima, nella matematica e nella geometria, trovava il suo sostanziale fondamento. I suoi scritti, infine, soprattutto il De prospectiva pingendi, scritto in volgare per gli artisti e in latino per gli umanisti, hanno dato inizio alla codificazione della prospettiva rinascimentale.

La Mostra è suddivisa in otto sezioni che approfondiscono gli studi affrontati da Piero nel corso della sua vita.
Nella prima sezione La prospettiva tra arte e matematica, è mostrato che il De Prospectiva Pingendi è il primo trattato sistematico di prospettiva interamente illustrata.
Nella seconda sezione I principi geometrici, si analizza la relazione di Piero con Firenze, città dove già le opere di Donatello e Masaccio manifestavano la straordinaria innovazione figurativa di Filippo Brunelleschi, con l’invenzione della prospettiva lineare.
Nella terza sezione Le regole del disegno prospettico, attraverso modelli e disegni si comprende che Piero fu il primo a scrivere veramente per gli artisti, infatti corredò ampiamente il trattato di numerosi disegni, estremamente precisi, puliti e di straordinaria finezza.
Nella sezione I corpi geometrici, viene approfondita la relazione tra Piero e il matematico Luca Pacioli. Qui è analizzato il celebre ritratto del matematico, dipinto attribuito a Jacopo de' Barbari.
Con la sezione I maestri della prospettiva, si comprende come, attraverso la frequenza con cui i disegni di Piero appaiono nelle tarsie del Quattrocento e l’amicizia che legava il pittore ai famosi intarsiatori Lorenzo e Cristoforo Canozzi da Lendinara, l’arte dei legnaioli fu una delle prime aree di diffusione del De prospectiva pingendi.
Nella sesta sezione Il disegno di architettura: ichnographia, orthographia, scaenographia si pone l’attenzione sull’interesse per il disegno architettonico. Per Piero un buon pittore doveva possibilmente essere anche un buon architetto o, almeno, conoscere dell’architettura tutto ciò che riguardava il disegno degli ornamenti, dalle proporzioni alla sintassi degli ordini classici.
Nella sezione La figura umana, si può comprendere come Piero abbia risolto uno degli esercizi prospettici più complessi che si possano immaginare: il disegno prospettico della testa umana. Per risolvere il problema Piero immagina la testa come un solido geometrico, sezionandola con piani meridiani e paralleli, quasi come fosse un globo terrestre.
L’ultima sezione Gli inganni della visione, analizza, infine, gli studi di Piero sugli inganni della visione e gli effetti bizzarri della rappresentazione causati dalla forzatura del rapporto tra occhio e distanza di osservazione, portando Piero a terminare il trattato con alcuni esercizi che anticipano gli sviluppi dell’anamorfosi.

Piero Della Francesca. La seduzione della prospettiva
Sansepolcro, Museo Civico di Sansepolcro
25 marzo 2018 – 6 gennaio 2019
Curatori
Filippo Camerota, Francesco P. Di Teodoro


lunedì 26 marzo 2018

SIENA, LE “TESTE GRANDI PER LA FACCIATA DEL BATTISTERO


Dal 23 marzo 2018 al 6 gennaio 2019 è possibile vedere nella cosiddetta Cripta del Complesso Monumentale del Duomo di Siena la mostra Maestri “a rischio”. Il cantiere del duomo di Siena e le “teste grandi per la facciata del Battistero. 

Nell'occasione è possibile ammirare contemporaneamente tre aspetti di questo suggestivo luogo da poco aperto al pubblico: le grandi e solide strutture murarie che sorreggono l’ultima parte del duomo, il ciclo di affreschi duecenteschi che furono sigillati pochi decenni dopo la loro stesura (per questo si presentano oggi con colori straordinariamente brillanti, facendone pressoché ununicumnella storia dell'arte) e per la prima volta otto teste in origine collocate nella parte alta della facciata del battistero incompiuta rispetto al progetto originario. 
Le teste sono state tolte “dalla facciata per poterne garantire la conservazione e sono state sostituitein locoda calchi: la secolare esposizione delle sculture agli agenti atmosferici e all’inquinamento ha infatti provocato una generale corrosione degli strati superficiali del marmo e, in alcuni casi, delle fessurazioni e la forte alterazione dell’intaglio lapideo.
Dopo un attento restauro, le sculture sono ora presentate al pubblico con un elaborato allestimento museografico, che evoca la loro funzione e collocazione originarie. 
Non è facile dire se la committenza intese affidare a queste sculture un qualche significato. Oggi ne percepiamo soprattutto la valenza ‘ornamentale’, che dovette almeno in parte presiedere fin dall'origine all'ideazione della serie, destinata a enfatizzare lo stacco della cornice marcapiano posta a coronamento di quest’ordine della facciata. Grazie alla capillare documentazione dei lavori nel cantiere della cattedrale nel corso del XIV secolo, sappiamo con certezza che nel 1355-1357 si stava lavorando in questa zona della fabbrica del duomo. Le sculture si possono così riconoscere come le otto conservate di una serie di “teste grandi” che furono realizzate nel corso dell’estate e dell’autunno dell’anno 1356. Solo le sculture collocate nella sezione centrale della facciata si sono conservate; sono invece perdute quelle delle aree sinistra e destra. 

Sotto la direzione del capomastro del momento, lo scultore Domenico d’Agostino, che diresse il cantiere del duomo dal 1350 al 1358 e di nuovo nel 1362, le “teste grandi” furono intagliate da cinque diversi scultori, pagati con una modalità di retribuzione che al tempo si definiva “a rischio” poi “a misura”, ossia non secondo il tradizionale pagamento “a giornata”, bensì in base al numero dei “pezzi” lavorati (oggi diremmo a cottimo) 

Non si tratta di una operazione di sola salvaguardia, ma di conoscenza in quanto ha messo in concerto più competenze una serie di approfonditi studi che permettono di valutare meglio la complessa storia del Duomo di Siena e di dare agli antichi cinque lapicidi della metà del ‘300 autori delle “teste grandi identità di scultori. 
La mostra, promossa e organizzata dall’Opera della Metropolitana, in collaborazione conOpera-Civita, è a cura diRoberto Bartalini(Università degli Studi di Siena) e diAlessandro Bagnoli(Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo). 
Le sculture sono state restaurate daGiuseppe Donnaloia. La realizzazione editoriale del catalogo si deve aSillabe(Livorno).
Graziella Guidotti

giovedì 15 marzo 2018

IL FILO E L’INFINITO Maria Lai a Firenze



Dopo Plautilla Nelli e Maria Lassing La Galleria degli Uffizi prende nuovamente spunto dalla giornata internazionale della donna per presentare altre due grandi protagoniste Elisabetta Sirani artista bolognese seicentesca e Maria Lai artista sarda contemporanea scomparsa nel 2013.

Questa mostra – spiega la curatrice Elena Pontiggia - si propone di ripensare all’arte di Maria Lai attraverso il tema del filo per due aspetti.
Il primo è dovuto allo spazio raccolto dell’Andito degli Angiolini che permette di concentrarsi solo su una parte del percorso dell’artista, quella che riguarda i fili, la vita dell’artista è così ricca che avrebbe bisogno di spazi molto più ampi.
Il secondo aspetto riguarda il filo, il cucire, il tessere nelle loro declinazioni concrete e simboliche che sono un tema centrale della sua arte.
Maria Lai è sempre più apprezzata nel panorama artistico Italiano e internazionale lo testimonia la sua presenza alla Biennale di Venezia nel 2017 e la presenza all’importante manifestazione artistica Documenta che si tiene a Kassel.

Nel video con cui si apre idealmente la mostra si vede Legarsi alla montagna prima opera relazionale realizzata in Italia. Un’azione collettiva con la quale gli abitanti di Ulassai legano con strisce colorate le montagne al loro paese, alle case per tenere unita la natura all’uomo e per tenere unita la sacralità delle montagne e quella delle famiglie.
Le strisce di stoffa oltre ad essere il filo che unisce la montagna al paese è un filo ricco di significati perché è quello dei tessuti e dei telai che sono il fulcro dell’arte popolare sarda e in particolare il sapere delle donne dell’Isola.

 Esemplare l’opera Oggetto-paesaggio che modificherà più volte negli anni: un telaio disfatto pieno di fili spezzati e senza ordine che come un totem occupa lo spazio della prima sala della mostra.
Suggestive le Tele cucite dall’aspetto anfibio come le definiva Maria Lai, cioè tele che da una parte evocano un passato millenario dell’arte tessile sarda, dall’altra sono legate ad una ricerca espressiva contemporanea che lavora non sulla tela ma con la tela.

Affascinanti le Scritture, pagine illeggibili cucite su lenzuola, rettangoli di tessuto, stoffe incorniciate come lavagne. Uno degli esempi il monumentale Lenzuolo; il lenzuolo accompagna l’esistenza dell’uomo dalla nascita, al sonno notturno, al sonno eterno quindi l’opera di Maria fa entrare la scrittura nella vita.
“Maria Lai trasforma l’oggetto quotidiano, nato per essere utile o almeno decorativo, in un oggetto poetico che non serve a nulla, ma è più importante di ogni funzionalità perché insegna a pensare e a capire”.
Patrizia Casini

venerdì 2 marzo 2018

LA COLLEZIONE CONTINI BONACOSSI OGGI NEL PERCORSO MUSEALE DEGLI UFFIZI


Donna che lava i piatti (“La sguattera”)
G. M. Crespi 1720-1725 ca.
Dopo 49 anni la COLLEZIONE CONTINI BONACOSSI entra a far parte del percorso espositivo degli Uffizi. 
Francesca de Luca, funzionaria referente della collezione racconta come la raccolta offre grandi opere “che per eccezionalità e rarità sono pienamente uguagliabili a quelle custodite dalla Galleria e si innestano nel patrimonio degli Uffizi, integrando scuole poco rappresentate, come quella lombarda tra Quattro e Cinquecento,  oppure quella spagnola del Sei e del Settecento”.

Alessandro Contini Bonacossi, decise di devolvere la sua collezione allo Stato Italiano, volontà che venne rispettata alla sua morte, nel 1955, dai figli Augusto Alessandro ed Elena Vittoria. 
Per diversi anni la collezione è stata ospitata in differenti luoghi della Galleria degli Uffizi ma solo visitabile per appuntamento o per occasioni speciali. Ora ha finalmente trovato la sua sede definitiva. 

San Girolamo nel deserto Giovanni Bellini 1480
Seguendo la volontà dei donatori di esporre tutta la collezione insieme, unitamente ai dipinti e alle sculture di pregio sono in mostra mobili, maioliche e oggetti vari (notevole il gruppo di stemmi in maiolica molti dei quali della Bottega dei Della Robbia). 
“La novità della ristrutturazione museografica delle sale Contini Bonacossi, oggi inserite nel contesto del percorso museale, si basa sul determinante  apporto sia della luce naturale che di quella artificiale” spiega l’architetto Antonio Godoli, curatore del patrimonio architettonico degli Uffizi. 

San Lorenzo Gian Lorenzo Bernini 1613-1617







Tra i capolavori segnaliamo la Madonna della neve del Sassetta il più noto e forse il più importante pittore senese del Quattrocento, il San Girolamo di Giovanni Bellini con la straordinaria fusione di figura e paesaggio ricco di elementi simbolici. 
La pala del Bramantino, il Ritratto di Giuseppe da Porto col figlio del Veronese, il San Lorenzo martirizzato capolavoro di un Gianlorenzo Bernini ancora quindicenne che già mostra con la sua perizia tecnica e la potente immaginazione il genio che diventerà da li a poco tempo.

Pala della Madonna della neve Sassetta, 1432