mercoledì 11 aprile 2018

GIULIANO GHELLI INEDITO

Indica paesaggi, 1974
Dal 7 aprile al 20 maggio 2018, la Sala del Basolato di Fiesole (Firenze) ospita, “GIULIANO GHELLI INEDITO. Gioco e forma in opere dal 1963 al 1983 nel clima fiorentino contemporaneo”. Una mostra, a cura di Mirella Branca, che ricorda l’artista toscano, scomparso nel 2014, attraverso una cinquantina di opere, dagli esordi negli anni Sessanta, in cui abbracciò le tendenze pop dell’arte italiana ed internazionale dell’epoca, sino agli inizi degli anni Ottanta.


Giuliano Ghelli
Giuliano Ghelli, nato a Firenze nel 1944, intraprese i primi passi nel mondo dell’arte all'inizio del Sessanta, negli anni del cosiddetto “miracolo economico”, momento di trasformazione profonda della società italiana. Si configura una nuova idea di arte, proiettata nella contemporaneità attraverso una straordinaria proposta di linguaggi espressivi, materie e forme quando il paese si apre alla cultura di massa, nel contesto di una totale fiducia nella tecnologia.
In questo quadro storico l’artista partecipa, alle tendenze artistiche del periodo pur in modo assolutamente individuale.

Inventario, 1971
La mostra fiesolana intende dimostrare la coerenza di Ghelli, rivolta verso la realtà ma in chiave fantastica, stimolata tra l’altro dal mondo della fantascienza, importante nell'Italia dell’epoca. Lo attestano le opere che si riferiscono al mondo dei robot dei romanzi di Isaac Asimov. In esse si afferma un linguaggio “fatto di lettere o cerchi, segni o forme libere stese a piatto, giunture meccaniche e dinamiche frecce direzionali, colori intenzionalmente privi del loro carattere pittorico, richiamo piuttosto al mondo industriale, in contrasti ora delicati ora più vivi.
Ne emerge un mondo personale tendente all'astratto, dove larga parte hanno il gioco, lo humour e il trascendere la tela, secondo quanto ormai ben presente nell'arte italiana dopo il Futurismo”.
Nella realizzazione di sagome colorate, quasi dotate di vita autonoma e divenute forme oggettuali, si trova un’altra caratteristica del linguaggio di Ghelli, quella della capacità di un racconto favolistico, che si articola nello snodarsi delle forme. Come per esempio nei suoi Portapaesaggi, fatti di ruote, segnali stradali, binari, grattacieli: un mondo reale che si trasforma in fantastico.

Nuove poesie, 1973
In quegli anni Giuliano Ghelli è stato recensito da voci critiche di grande rilievo, da Lara-Vinca Masini, in chiave molto poetica, a Aldo Passoni.
Con Vinicio Berti, legato al mondo del fumetto come Ghelli a quello robotico, si istaura poi un legame speciale che unisce ambedue gli artisti verso l’interesse per la cultura popolare. Lo sguardo rivolto oltre la realtà ad un mondo fiabesco segnato dalle suggestioni della tecnologia.
Insieme ai lavori di Giuliano Ghelli saranno esposte opere di altri artisti a lui contemporanei: Valerio Adami, Luca Alinari, Vinicio Berti, Antonio Bueno, Pietro Gentili, Sebastian Matta, Gastone Novelli, Vittorio Tolu.
Il catalogo, edito da Polistampa, include testi di Mirella Branca, Lara-Vinca Masini e Barbara Casalini, Assessore alla Cultura del Comune di Fiesole.
Patrizia Casini, Graziella Guidotti


martedì 10 aprile 2018

A San Gimignano MAN RAY Wonderful visions

Violon d’Ingres (Kiki), 1924
Oltre cento immagini fotografiche di Man Ray, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano, dall’8 aprile al 7 ottobre 2018, ci consentono di rileggere il lavoro fotografico di uno dei più significativi artisti del XX secolo.
Artista poliedrico e innovatore che fa emergere nella fotografia tutta la sua creatività e la sua voglia di sperimentare.
Man Ray, al secolo Emmanuel Radnitzky proviene da una famiglia russa di origini ebraiche e vive a cavallo tra Ottocento e Novecento, nel periodo più dinamico e ricco di avvenimenti e di profondi cambiamenti nel campo artistico, storico e sociale.
Conosce Duchamp e Picabia e insieme a loro getta le basi del pensiero che resta ancora adesso il fondamento sul quale gli artisti di oggi lavorano.

L’Enigma di Isidore Ducasse, 1920
La mostra segue un andamento cronologico, immagini dal 1920 al 1950, per rimandare non ai generi e alle funzioni ma a quell'unico sguardo da cui nascono realmente le sue immagini.
Tra le foto del 1920 troviamo L’Enigma di Isidore Ducasse: la rappresentazione di qualcosa avvolto in una coperta e legato con della corda. Questa immagine anticiperà la citazione del poeta Lautréamont, il cui pseudonimo Isidore Ducasse, e risulterà una delle citazioni preferite dei surrealisti “bello come l’incontro fortuito di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo di anatomia”.
Andrè Breton, 1929 circa
A Parigi negli anni Venti del Novecento Man Ray diventa il fotografo del gruppo Surrealista e il primo grande creatore fotografico surrealista ma senza mai identificarsi completamente con il gruppo.
Sperimentatore instancabile, ha reinventato tutto ciò che ha toccato così come ha rielaborato l’invenzione dei readymades dell’amico Marcel Duchamp, trasformandoli in “oggetti d’affezione”, altrettanto ha trasformato la fotografia in “fotografia d’affezione”, cioè a funzionamento simbolico invece che pura registrazione della realtà. Ogni soggetto che ha fotografato ha saputo trasformarlo, trasfigurarlo, caricarlo di senso proprio: tutto il percorso di Man Ray è rappresentato dalla “visionarietà” riesce a vedere sempre qualcosa di diverso dal reale.
Noire et blanche, 1926
La presenza femminile ha un valore importante per il fotografo, tra l’altro grande amatore, che rappresenterà la donna in pose e inquadrature particolari e nuove per l’epoca.
Anche nel campo della moda è un innovatore vanta collaborazioni con stilisti come Paul Poiret e Coco Chanel e con le più grandi riviste di moda da Harper’s Bazaar a Vogue. Basta un copricapo incongruo, un gioiello simbolico e allusivo, una posa o una posizione estraniata ed estraniante e nella foto e tutta l’atmosfera cambia.

Autoportrait, 1931
Rivoluzionario anche nella tecnica utilizza la solarizzazione che consiste nel riesporre il negativo, non ancora fissato, a un lampo di luce la quale va a reilluminare le zone delle ombre, per cui c’è luce fin dentro l’ombra, con un effetto di aura o di isolamento o distorsione della figura sullo sfondo – non di opposizione ma di continuità, come Breton auspicava tra la veglia e il sonno del “Manifesto” Surrealista.
Utilizza inoltre la sovraimpressione e una sorta di sovraproiezione con le quali crea effetti di sdoppiamento particolarmente nuovi e interessanti.

Un artista dalla personalità variegata e multiforme ma ciò che accomuna e lega la sua opera in un unico gesto creativo è lo sguardo, quello che trasforma tutto in “meravigliose visioni”.
Patrizia Casini


Juliet, 1942
Marcel Duchamp déguisé en Rrose Sélavy, 1921

SAVIA NON FUI. DANTE E SAPÌA TRA LETTERATURA E ARTE

A. Malatesta Dante incontra Sapìa nel Purgatorio 1839 ca.
Dal 7 aprile al 27 ottobre il Museo San Pietro a Colle di Val d’Elsa ospita la mostra SAVIA NON FUI. DANTE E SAPÌA TRA LETTERATURA E ARTE. L’esposizione promossa dal Comune di Colle di Val d’Elsa e dall’Arcidiocesi di Siena, Colle di Val d’Elsa, Montalcino con la partecipazione e organizzazione di Opera Civita, fa parte di una serie di eventi per festeggiare  il 750° anniversario della Battaglia di Colle.

Sapìa, gentildonna senese nata Salvaniprotagonista del canto XIII del Purgatorio di Dante, viene condannata dal poeta per aver sperato nella sconfitta dei propri concittadini, le truppe senesi capitanate da Provenzano Salvani, nella Battaglia di Colle. “Questo ci consente – sostiene Anna Maria Cotoloni, Assessore alle politiche culturali del Comune di Colle - di legare questa mostra alla nostra terra, alla nostra città, a quella lontana battaglia che segnò una svolta storica sia nello sviluppo della città che nel modo stesso di condurre lo scontro armato. Fu la sconfitta della cavalleria pesante di fronte alle umili, ma più efficaci, armi della popolazione”.
G.Doré Dante incontra Sapìa nel Purgatorio
Parigi, Hachette, 1868

Amos Cassioli, Provenzano Salvani 
nella Piazza del Campo 1873
Negli spazi del Museo San Pietro che, poco più di un anno fa, dopo importanti lavori di ristrutturazione è stato riconsegnato alla città di Colle, si raccolgono le testimonianze di miniatori, incisori, scultori e pittori, interpreti di una figura non convenzionale, Sapìa, che per i caratteri di umana fragilità con cui è delineata, può considerarsi una sorta di antieroina della storia medievale senese.

Fra coloro che hanno tramandato l’immagine del personaggio il pittore modenese Adeodato Malatesta, il grande incisore francese Gustave Doré, lo scultore senese Fulvio Corsini e l’artista romano Emilio Ambron autore di uno straordinario ciclo nel palazzo Chigi Saracini a Siena, commissionato dal conte Guido.

Gino Terreni, Provenzano Salvani bozzetto preparatorio
per la pittura muraria di Castel Bigozzi, Monteriggioni 1996
Questa iniziativa, è anche l’occasione per esporre le opere raffiguranti questa tematica dipinte da Gino Terreni (Empoli, 1925-2015), poliedrico artista afferente all’Espressionismo, e generosamente donate dagli eredi al Comune di Colle. La sua visione di Sapìa è quella di una figura nuda che infierisce, con toni teatrali e angosciosi, contro i suoi concittadini. Un dramma femminile che si riscontra anche nelle donne sugli spalti che assistono allo scontro tra le truppe senesi e fiorentine nella piana di San Marziale.

Il percorso espositivo e il catalogo sono curati da Marilena Caciorgna, docente di Iconografia e tradizione classica dell’Università di Siena, e da Marcello Ciccuto, professore di letteratura italiana dell’Università di Pisa e presidente della Società Dantesca Italiana che ha il compito di promuovere studi scientifici, edizioni e manifestazioni sull’opera del sommo poeta.
Antonio Salvetti, Bastione di Sapia, 1929