L’esposizione ha permesso al pubblico di ammirare
questo importante corpus documentario, “un lembo del secolo d’oro” come lo
definì il giornalista e scrittore Ugo Ojetti sulle pagine del “Corriere della
Sera” nel 1908 quando Giovanni Poggi, allora Direttore del Museo Nazionale del
Bargello, lo rinvenne nell’archivio Spinelli di Arezzo. E proprio ad Arezzo,
nel prossimo futuro, le carte verranno esposte nuovamente, ancora da decidere
le date e la sede.
A queste lettere, così come alla sua opera
artistica e letteraria, Vasari affidò il compito di conservar memoria di sé, di
“lasciar fama” e di combattere la “voracità del tempo”. La stessa ansia di
eternità che l’artista volle esprimere nella sua casa di Arezzo, a cui le Carte
sono oggi vincolate. Esse costituiscono una testimonianza diretta della vicenda
umana e della formazione artistica di Giorgio Vasari (1511 -1574), della sua
personalità poliedrica, della sua vasta produzione, dei suoi rapporti con i
committenti (tra cui Cosimo I de’ Medici) e con i maggiori artisti e letterati
del suo tempo, in particolare con Michelangelo.
Il percorso espositivo ha il suo fulcro proprio
nelle lettere inviate fra il 1550 e il 1557 da Michelangelo a Roma a “Messer
Giorgio amico caro” in Firenze, segno vivo del profondo rapporto tra i due
artisti, carte private che ci consentono di avvicinare un Buonarroti anziano,
prossimo alla morte, che si confronta con le proprie debolezze, gli affetti e
le ultime meditazioni sull’arte e l’architettura. In queste carte troviamo
anche tre sonetti autografi di Michelangelo, tra i suoi più celebri
componimenti lirici.
La mostra si
apre con una prima sezione dedicata alla storia dell’eredità di Giorgio Vasari,
del suo archivio e, più in generale, della sua memoria come si esprime nella
complessa relazione tra il corpus documentario, la biografia vasariana e le
vicende ereditarie.
Oltre a
costituire fonti preziose per la storia dell’arte e della cultura del
Rinascimento, queste carte rappresentano un apparato memoriale e
autocelebrativo a cui Vasari consapevolmente affida la propria effigie
d’artista destinato ad una fama imperitura.
La sezione seguente espone le lettere che
documentano il rapporto privilegiato che Giorgio Vasari intrattiene con il suo
principale committente Cosimo I de’ Medici, ma anche i sodalizi instaurati con
letterati ed eruditi del tempo come Paolo Giovio, Annibal Caro, Vincenzo
Borghini, Cosimo Bartoli, Pietro Bembo e Pietro Aretino. Proprio intellettuali
come il Borghini, iconologo ufficiale del duca Medici, accompagnano la sua
produzione artistica, suggerendogli “invenzioni”, allegorie, genealogie
illustri, rievocazioni mitologiche con effetti profondi, evidenti anche nelle
pitture che l’artista realizza in Palazzo Vecchio.
Il percorso espositivo prosegue raccontando come
nasce l’idea e la storia de Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e
architettori, che Vasari pubblica a Firenze in due edizioni, entrambe con una
dedica al duca Cosimo I de’ Medici: la prima uscita nel 1550 nei tipi di
Lorenzo Torrentino e la seconda, ampliata e corredata dei ritratti incisi degli
artisti, edita dai Giunti. Le Vite sono di fatto la prima storia
dell’arte moderna, il cui culmine – formale, morale e spirituale – è
rappresento da Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564) di cui il Vasari, in forza
del rapporto speciale con l’artista, si ritiene erede e discepolo privilegiato.
L’ultima sezione
focalizza, attraverso una narrazione intima e coinvolgente, proprio questo
rapporto personale e ravvicinato tra i due artisti, una relazione amicale che
intorno al 1550, anno della pubblicazione dell’edizione Torrentiniana delle
Vite, si intensifica fino a diventare familiare. A documentare questa amicizia
ci sono le lettere autografe inviate tra il 1550 e il 1557 da Michelangelo
all’amico caro messer Giorgio. Sono anni di gloria e di sconforto, quando
l’anziano Buonarroti riceve la notizia della nascita del nipote, deve
affrontare la morte del fedele assistente Urbino, si vergogna degli errori
commessi nel cantiere di San Pietro, immagina ancora soluzioni architettoniche
audaci, si rammarica di non poter tornare a Firenze, come vorrebbero l’amico
Vasari e lo stesso Cosimo I. Le lettere contengono anche tre sonetti,
considerati il testamento spirituale dell’artista, tra i quali “Giunto è già il
corso della vita mia”, del 19 settembre del 1554, in cui Michelangelo si
fa interprete dei suoi amati maestri, Dante e Petrarca, e traduce in versi una
sorta di confessione: come artista e come uomo avverte di essere giunto quale
“fragil barca” al “comune porto” scampando al mare tempestoso della vita.
Queste tarde carte michelangiolesche, nelle quali troviamo anche alcuni disegni
originali, sono un documento di eccezionale valore morale e di altissimo
significato spirituale.
Cartella stampa Davis & Franceschini