venerdì 22 luglio 2016

MICHELANGELO e VASARI. Preziose lettere all'«amico caro»

 Esposto per la prima volta a Firenze, in palazzo Medici Riccardi, il nucleo di lettere che Michelangelo Buonarroti scrisse a Giorgio Vasari, conservato ad Arezzo presso il Museo Casa Vasari, sarà visibile al pubblico fino a domenica. L’esposizione, MICHELANGELO e VASARI. Preziose lettere all’«amico caro» dall’archivio Vasari, a cura di Elena Capretti e Sergio Risaliti, chiuderà infatti i battenti il 24 luglio.

L’esposizione ha permesso al pubblico di ammirare questo importante corpus documentario, “un lembo del secolo d’oro” come lo definì il giornalista e scrittore Ugo Ojetti sulle pagine del “Corriere della Sera” nel 1908 quando Giovanni Poggi, allora Direttore del Museo Nazionale del Bargello, lo rinvenne nell’archivio Spinelli di Arezzo. E proprio ad Arezzo, nel prossimo futuro, le carte verranno esposte nuovamente, ancora da decidere le date e la sede.

A queste lettere, così come alla sua opera artistica e letteraria, Vasari affidò il compito di conservar memoria di sé, di “lasciar fama” e di combattere la “voracità del tempo”. La stessa ansia di eternità che l’artista volle esprimere nella sua casa di Arezzo, a cui le Carte sono oggi vincolate. Esse costituiscono una testimonianza diretta della vicenda umana e della formazione artistica di Giorgio Vasari (1511 -1574), della sua personalità poliedrica, della sua vasta produzione, dei suoi rapporti con i committenti (tra cui Cosimo I de’ Medici) e con i maggiori artisti e letterati del suo tempo, in particolare con Michelangelo.

Il percorso espositivo ha il suo fulcro proprio nelle lettere inviate fra il 1550 e il 1557 da Michelangelo a Roma a “Messer Giorgio amico caro” in Firenze, segno vivo del profondo rapporto tra i due artisti, carte private che ci consentono di avvicinare un Buonarroti anziano, prossimo alla morte, che si confronta con le proprie debolezze, gli affetti e le ultime meditazioni sull’arte e l’architettura. In queste carte troviamo anche tre sonetti autografi di Michelangelo, tra i suoi più celebri componimenti lirici.

La mostra si apre con una prima sezione dedicata alla storia dell’eredità di Giorgio Vasari, del suo archivio e, più in generale, della sua memoria come si esprime nella complessa relazione tra il corpus documentario, la biografia vasariana e le vicende ereditarie.
Oltre a costituire fonti preziose per la storia dell’arte e della cultura del Rinascimento, queste carte  rappresentano un apparato memoriale e autocelebrativo a cui Vasari consapevolmente affida la propria effigie d’artista destinato ad una fama imperitura.

La sezione seguente espone le lettere che documentano il rapporto privilegiato che Giorgio Vasari intrattiene con il suo principale committente Cosimo I de’ Medici, ma anche i sodalizi instaurati con letterati ed eruditi del tempo come Paolo Giovio, Annibal Caro, Vincenzo Borghini, Cosimo Bartoli, Pietro Bembo e Pietro Aretino. Proprio intellettuali come il Borghini, iconologo ufficiale del duca Medici, accompagnano la sua produzione artistica, suggerendogli “invenzioni”, allegorie, genealogie illustri, rievocazioni mitologiche con effetti profondi, evidenti anche nelle pitture che l’artista realizza in Palazzo Vecchio.

Il percorso espositivo prosegue raccontando come nasce l’idea e la storia de Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, che Vasari pubblica a Firenze in due edizioni, entrambe con una dedica al duca Cosimo I de’ Medici: la prima uscita nel 1550 nei tipi di Lorenzo Torrentino e la seconda, ampliata e corredata dei ritratti incisi degli artisti, edita dai Giunti.  Le Vite sono di fatto la prima storia dell’arte moderna, il cui culmine – formale, morale e spirituale – è rappresento da Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564) di cui il Vasari, in forza del rapporto speciale con l’artista, si ritiene erede e discepolo privilegiato.

L’ultima sezione focalizza, attraverso una narrazione intima e coinvolgente, proprio questo rapporto personale e ravvicinato tra i due artisti, una relazione amicale che intorno al 1550, anno della pubblicazione dell’edizione Torrentiniana delle Vite, si intensifica fino a diventare familiare. A documentare questa amicizia ci sono le lettere autografe inviate tra il 1550 e il 1557 da Michelangelo all’amico caro messer Giorgio. Sono anni di gloria e di sconforto, quando l’anziano Buonarroti riceve la notizia della nascita del nipote, deve affrontare la morte del fedele assistente Urbino, si vergogna degli errori commessi nel cantiere di San Pietro, immagina ancora soluzioni architettoniche audaci, si rammarica di non poter tornare a Firenze, come vorrebbero l’amico Vasari e lo stesso Cosimo I. Le lettere contengono anche tre sonetti, considerati il testamento spirituale dell’artista, tra i quali “Giunto è già il corso della vita mia”, del 19 settembre del 1554, in cui  Michelangelo si fa interprete dei suoi amati maestri, Dante e Petrarca, e traduce in versi una sorta di confessione: come artista e come uomo avverte di essere giunto quale “fragil barca” al “comune porto” scampando al mare tempestoso della vita. Queste tarde carte michelangiolesche, nelle quali troviamo anche alcuni disegni originali, sono un documento di eccezionale valore morale e di altissimo significato spirituale.

Cartella stampa Davis & Franceschini

mercoledì 20 luglio 2016

Galleria degli Uffizi: apertura straordinaria per Ferragosto

La Galleria degli Uffizi sarà straordinariamente aperta lunedì 15 agosto, giorno di 
Ferragosto, con il consueto orario, ovvero dalle 8.15 alle 18.50. 
L’ingresso nel museo sarà a pagamento ed è già possibile prenotare la visita attraverso il sito 
web www.uffizi.it oppure chiamando il numero di Firenze Musei 055-294883; da tener presente che 

l’ultimo ingresso prenotabile è fissato alle ore 16.45.

venerdì 15 luglio 2016

BENOZZO GOZZOLI a San Gimignano

Pala di Santa Maria Maddalena 1466
BENOZZO GOZZOLI a San Gimignano è il titolo della mostra (18 giugno, 1 novembre 2016) allestita nella Pinacoteca della Città delle Torri una mostra che può essere arricchita con la visita agli altri luoghi dove sono conservate le opere del maestro: il Museo di arte Sacra, il Duomo, la Chiesa di Sant’Agostino, il Monastero di Monteoliveto. 
L’esposizione vuole celebrare l’intensa e feconda attività svolta da Benozzo (1420-1497) e dalla sua scuola durante il soggiorno sangimignanese, dal 1464 al 1467, periodo di completa maturità dell’artista che aveva appena terminata la Cavalcata dei Magi nella cappella di palazzo Medici-Riccardi a Firenze. 
Il cuore della mostra è la Pala di Santa Maddalena nella quale si sommano tutte le esperienze, le conoscenze e la cultura apprese in gioventù. 
Dal Ghiberti, con il quale collaborò alla Porta del Paradiso per il Battistero di Firenze, imparò le regole prospettiche teorizzate da Leon Battista Alberti. Dal Beato Angelico del quale fu collaboratore a Firenze e a Roma nella Cappella Niccolina nei Palazzi Vaticani apprese la limpida purezza della composizione e della stesura del colore, ma nello stesso tempo si lasciò suggestionare dall’opera di Gentile da Fabriano e dal decorativismo prezioso del Gotico Internazionale. Senza dimenticare l’importante ruolo svolto dagli arazzi borgognoni dei quali Piero e Giovanni de’ Medici risultano ammirati acquirenti e collezionisti fin dal 1447. 
La caratteristica narrativa e descrittiva degli arazzi si riscontra un po’ in tutta lopera del Maestro: sia quando usa la tecnica ad uovo su tavola che quando dipinge a fresco su muro. Infatti gusto aneddotico, piacevolezza narrativa, amore per il particolare e iscrizioni latine didascaliche, animano con garbo le sue composizioni. 
Al seguito del padre Lese, farsettaio, il piccolo Benozzo ebbe certamente occasione di avvicinare il mondo degli artigiani, in particolare merciai e tessitori fiorentini. Gli incontri forse dettero origine ad una sensibilità particolare nella rappresentazione delle stoffe sicuramente sublimata dalla collaborazione con l’Angelico. 
Resta il fatto che senza la pittura di Benozzo l’ambiente di vita e la moda colta e raffinata della Firenze del XV secolo non risulterebbero documentati con altrettanta ricchezza. Anche gli accessori più piccoli risultano curati con attenzione nei più minuti particolari. 
A provare l’affermazione basta la Pala di Santa Maria Maddalena orgogliosamente firmata opus Benozzii de Florentia 1466, che in occasione della mostra si può ammirare ricomposta con l’originaria predella oggi divisa fra il Musée du Petit Palais di Avignone, la Pinacoteca di Brera e il Museo Thissen Bornemisza di Madrid. 
Una composizione compatta ed equilibrata di chiara impostazione rinascimentale disposta nella superficie quadrata della Pala. Ma il perfetto equilibrio compositivo è reso ancora più affascinante dalla ricchezza dei particolari che non lasciano libero neppure un centimetro della superficie pittorica. 
Tutto è descritto con la più grande cura ad iniziare dalla veste rossa della Madonna rifinita al collo da un bordo aureo e da una leggerissima applicazione increspata che risulta lavorata con la stessa sapienza tecnica del leggero velo che incornicia il volto. Dalla testa scende il manto blu foderato di pelliccia e bordato da un nastro d’oro ricamato in basso ribadisce il tema della tavola con la scritta Ave Regina coelorum  
Anche il velo appoggiato sulla curata acconciatura dei capelli di Santa Magdalena è un capolavoro di pittura oltre che di tessitura, per non parlare del suo bel mantello foderato di vaio e dei nastri d’oro che bordano le vesti. 
San Giovanni Battista anziché essere vestito di povere pelli risulta coperto da una morbida pelliccia cucita ad arte e completata da un mantello in tinta confezionato in doppio di due colori complementari, grigio-viola e giallo. 
Sempre la confezione in doppio e due colori complementari, arancione e verde, per il mantello di Santa Marta sapientemente drappeggiato su un abito blu bordato da nastri d’oro e con i polsini trattati come veri e propri bracciali d’oro sbalzato. Il viso della Santa è incorniciato dal mantello che poggia su un velo sottile e prezioso come quello della Madonna e di Santa Magdalena. 
Paliotto delle colombe
La cosa più stupefacente in mezzo a tanta raffinatezza, al prezioso marmo dei gradini sui quali si eleva il trono, all’estofado d’onore che dipinge un tessuto oro e blu con disegno a cammino, ai festoni a rose bianche e rosse canonicamente associate alla Madonna, allo svolazzante panneggio delle vesti degli angeli con le ali disegnate da lumeggiature d’oro, è l’abbigliamento di Sant’Agostino: la sua mitra è una vera e propria opera d’arte orafa. Il Santo sopra la veste bianca indossa un mantello di velluto rosso cremisi ricamato che è quanto di più bello e prezioso si potesse desiderare in quell’epoca. La cosa davvero eccezionale è il disegno del ricamo che ripete esattamente quello del Paliotto delle colombe eseguito a Firenze nel convento delle Murate nel 1448, anch’esso in mostra a pochi metri di distanza dalla Pala. Di eccezionale bellezza e inestimabile valore è anche lo stolone del piviale interamente ricamato con rara maestria su disegno di un grande maestro, ammesso che il disegno non sia inventato per l’occasione ma sia ripreso dal vero com'è più verosimile. 
Insomma una pagina di una rivista di moda del tempo.
Patrizia Casini - Graziella Guidotti

giovedì 14 luglio 2016

IKEBANA, I FIORI VIVENTI

Cos'è l'Ikebana? Genericamente possiamo definirla come l’Arte Giapponese di disporre i fiori (anticamente si chiamava Kadō ovvero la via dei fiori), ma è molto altro.  Il nome stesso significa Fiori Viventi e questo ha connotazioni filosofiche ben precise.
In realtà posso solo dire cosa sia per me l'Ikebana. 

Arrivo da un passato come bonsaista ed essendo anche il Bonsai un’Arte Giapponese, sapevo vagamente cosa fosse l'Ikebana. Devo dire che sono sempre stata affascinata dalle bellissime composizioni che trovavo sulle riviste di bonsai (adesso so che si trattava della scuola Ikenobo), ma non avevo mai avuto la possibilità di approfondire.

La locandina della dimostrazione
Un giorno uno dei miei contatti di FB pubblica la locandina di una dimostrazione di Ikebana Sogetsu a Viareggio.
Riesco a convincere una mia amica e andiamo a vedere la dimostrazione.
Come entro nella sala rimango affascinata dalle composizioni esposte e mi metto a seguire la dimostrazione che si stava svolgendo. Ricordo poco di quello che veniva detto ma una cosa la ricordo perfettamente il mio pensiero che fu: "Voglio imparare a fare questo! E voglio lui come mio Maestro."
Quella a cui avevo assistito era la dimostrazione fatta in occasione del diploma da Maestro di Luca Ramacciotti, il mio Maestro d'Ikebana :-)

Sono già passati tre anni e mezzo e ho conseguito i primi IV livelli di studio della Scuola Sogetsu di Ikebana e presto comincerò il V livello al termine del quale, se sarò pronta,  verrò nominata a mia volta Maestro.

La prima cosa importante da dire sull'Ikebana è che ci sono molte scuole e che sono molto diverse tra loro sia come insegnamenti che come risultato estetico.
Le più conosciute in occidente sono: l'Ikenobo (la prima scuola in assoluto che iniziò quest’arte), l'Ohara,  e (quella che io seguo) la Sogetsu.
Diciamo per semplificare che le altre due scuole sono più tradizionaliste mentre la Sogetsu è come dire "l'avanguardia" dell'Ikebana, aperta ad ogni sorta di sperimentazione e all'utilizzo di materiali non convenzionali (oltre ai materiali freschi si può usare qualsiasi cosa per fare un Ikebana, sempre però nel rispetto delle regole stilistiche della composizione e che sia integrato col materiale vegetale e non sembri una decorazione).
Per semplificare come ha detto una volta Luca "la Sogetsu è Rock!".
Con questo non è che il percorso di studio sia più rapido o semplice, stiamo parlando di un 'Arte quindi niente è lasciato al caso, ma molto è frutto del nostro modo di vedere e sentire le cose.

Fare Ikebana seriamente è studiare, esercitarsi e condividere quello che si fa. Il gruppo di studio che ho incontrato tra Livorno e Roma (adesso diventato un grande Study Group il CONCENTUS) è un punto di riferimento per tutti noi che studiamo questa meravigliosa Arte. Ci sono persone che vengono da tutta Italia e anche dall'estero tutte con un unica passione fare insieme Ikebana.

"L’ikebana non è una composizione di fiori. Non metti dei fiori in un vaso secondo regole ed estetica e lì finisce.
Per progettare, fare un ikebana si deve partire dallo studio, da un’idea, da un contenitore come in una composizione floreale occidentale, ma il nostro spirito, il cammino dei fiori (kado), l’unione tra cielo, uomo e terra, si deve manifestare."  (Luca Ramacciotti)

Come ho avuto modo di scrivere in un precedente articolo sul mio Blog, "sono felicissima di far parte di questo vivo e bellissimo gruppo il Concentus Study Group.
Condividere e dedicare del tempo, per rafforzare i legami di amicizia, oltre che progredire nello studio, mi fa vedere l'ikebana con occhi diversi. Non è più solo un hobby per passare la domenica ma diventa un modo di vivere, un momento di amicizia e condivisione che apre l'orizzonte del cuore e della mente."

A questo punto spero di aver incuriosito abbastanza chi leggerà questo articolo e a dimostrazione di quello che ho scritto pubblico alcuni dei miei lavori.
Silvia Barucci